Politica energetica nazionale venerdì 27 marzo 2009
Staffetta Quotidiana
di Gabriele Masini e Gionata Picchio
Iter autorizzativi, Agricola: come garantire parità di condizioni
Intervista al Dg Salvaguardia Ambientale del Minambiente
I margini di discrezionalità degli iter e la mancanza di dati ambientali creano una distorsione della concorrenza. Bruno Agricola fa una panoramica sul nodo autorizzazioni, sui continui cambiamenti nella composizione della Commissione Via e sull’impoverimento delle professionalità, proponendo un rovesciamento dell’iter con una fase pre-istruttoria alle Regioni.
Oggi chi progetta un terminal Gnl, un programma upstream o un impianto eolico offshore deve potersi permettere il lusso di aspettare a lungo, e avere un possente ufficio legale. Oppure farà meglio a rinunciare.
Sicuramente c’è una durata degli iter autorizzativi lunga. E ci sono varie colpe di vari attori. Una sicuramente è del ministero dell’Ambiente, perché l’organizzazione era tale da non consentire il rispetto dei tempi, nel senso che c’erano poche persone per fare il lavoro. Noi abbiamo centinaia di pareri Via dati. Dalla serie storica emerge una cosa in particolare: che alcuni commissari avevano una producibilità media di tre pareri l’anno, alcuni due, alcuni uno e alcuni non riuscivano nemmeno a produrre un parere. Il che vuol dire che alcuni commissari non lavoravano in maniera adeguata.
E questo succede anche adesso?
Sulla nuova Commissione è stato sicuramente dato un notevole impulso. Però stiamo notando una disparità di trattamento tra i vari proponenti, per cui per alcuni si usa quasi il pugno di ferro e per altri il guanto di velluto. Se io tra un impianto e l’altro, a parità di tipologia, a uno consento emissioni più alte e a uno più basse faccio una distorsione della concorrenza. La Commissione dovrebbe trattare tutti allo stesso modo: se un’impresa mi dice che è possibile un’emissione 10 e un’altra mi propone 40, quest’ultima dovrà adeguarsi a 10. Invece sembra che qui le cose vadano così: a chi chiede 40 si dà 40, a chi chiede 10 si dà 10. In un momento in cui dobbiamo ridurre del 40% tutte le emissioni al 2011 – un’impresa disperata – questo crea qualche problema.
Come si può evitarlo?
Si impone una verifica a valle della Commissione Via, che fornisce singoli pareri tecnici, di un’omogeneizzazione e di una valutazione da parte del ministero. Ma il ministero in questo momento non è assolutamente in condizione di fare questo lavoro, per mancanza di personale. Non riusciamo neanche a protocollare le cose, figuriamoci ad approvarle. L’ho detto al ministro. Abbiamo arretrati, bandi sulle fonti energetiche rinnovabili che non possiamo emanare. Forse si pensava di poter accelerare senza le direzioni, solo con decisioni politiche. E questo non è possibile.
E’ possibile accorciare gli iter?
A volte gli iter durano tanto anche perché i proponenti presentano misure ambientali molto carenti o non sono in grado di fare uno studio adeguato mentre altri fanno ottimi studi. C’è insomma una disparità tra soggetti che sono bravi e soggetti che “ci provano”. Ma c’è anche un’altra questione delicata, ed è che invece molti proponenti anche seri non hanno tutte le informazioni necessarie per fare un serio studio di impatto ambientale. Questo problema lo stiamo risolvendo, con un intervento della parte pubblica che deve fornire gratuitamente all’impresa il quadro ambientale ex ante, così che le imprese siano messe tutte alla pari nel grado di conoscenza.
Come contate di farlo?
Su questo abbiamo già avviato con Sviluppo Italia una convenzione che insieme a quelli delle Regioni dovrebbe consentire alle imprese di avere questo quadro ambientale, sia per la Via che per l’Aia. Per garantire anche una trasparenza nella valutazione abbiamo inoltre fatto uno studio per le linee guida per la valutazione che attualmente è all’esame dei commissari della Commissione Via. Poi il ministero dovrà adottare un atto che sostanzialmente renda trasparenti e uniformi le metodologie di valutazione.
Cambiare una Commissione Via all’anno non aiuta…
Già, e si vede dai dati sulla produttività delle commissioni. È una cosa assolutamente deleteria. Prima che si ricominci con la nuova commissione passano tempi lunghi perché formalmente gli iter devono ricominciare. Spesso, poi, insieme alle commissioni sono state cambiate anche le regole. Con l’ultimo cambiamento, consolidando una tendenza già presente, si è impoverita la commissione di professionalità tecniche specifiche e si è arricchita di professionalità tecnico-amministrative.
I 150 iter chiusi dalla Commissione, però, sono un fatto
Lì il problema è che non si tratta di 150 progetti, ma 150 pareri, di cui la gran parte sono verifiche di ottemperanza. Erano pareri istruiti già dalla precedente commissione, molto più facili da concludere. Il ministro ha preteso il massimo dell’efficienza, questo bisogna riconoscerlo. Rimane il fatto che il massimo dell’efficienza di una Cinquecento non è il massimo dell’efficienza di una Mercedes. Comunque l’impegno c’è stato, dal punto di vista quantitativo. Dal punto di vista qualitativo non lo so, non voglio pronunciarmi. Io vedo solo i risultati finali, e nei risultati finali noto questa discrepanza di trattamento.
Direttore, per le procedure c’è un problema di standardizzazione, si pensi ai rigassificatori. La vedremo mai?
Anche per i rigassificatori c’è un problema di valutazione comparata. Ci sono investitori come la British Gas bloccati non si capisce bene per quale motivo. Sono stati posti una serie di vincoli molto forti, proprio per cercare di avere un impianto che fosse al di sopra di ogni standard. Nonostante questo quell’impianto non si fa mentre altri che sono a un livello forse meno stringente stanno andando avanti. A parte questo, uno dei problemi è legato alle autorità portuali, che hanno una normativa complessa. Anche le modifiche introdotte dal Governo Prodi – un po’ superficialmente – non erano risolutive. Il problema andava risolto a monte. Il funzionamento delle autorità portuali è storicamente complesso perché ci sono in gioco grossi interessi locali.
Ma davvero ci vuole tutto questo tempo per la Via a un terminal?
I rigassificatori sono impianti sostanzialmente semplici, molto semplici da valutare al livello di Via. Per un parere bastano sessanta giorni, con il Piano regolatore portuale fatto e vigente. La parte portuale però non possiamo risolverla noi perché se la Via non ha a monte un piano regolatore portuale fatto bene e consolidato, noi non siamo in condizione di dire se quell’impianto si può fare.
Anche Regioni e enti locali si mettono spesso di traverso…
Quando la Regione è contraria si può anche fare il decreto di Via ma poi il progetto non va avanti. E un altro problema è che spesso il parere regionale non arriva. Ad esempio c’è il caso dell’eolico offshore in Molise in cui la Regione sta facendo una guerra fuori da ogni logica e però intanto ritarda, impedisce, condiziona, perché poi la politica è sempre predominante. Il problema di avere un accordo con le Regioni è fondamentale e da questo punto di vista la procedura potrebbe addirittura essere ribaltata, con un primo livello istruttorio regionale, dopo di che lo Stato verifica se va bene o meno. Anche sui progetti di rilievo nazionale.
Ma le Regioni sono attrezzate?
Alcune sono molto attrezzate, altre si possono attrezzare. E non ci sarebbero problemi di uniformità perché, essendo una pre-istruttoria, l’ultima parola sarebbe del ministero. Visto che parliamo tanto di federalismo, diamo questo compito alle Regioni e poi ci riserviamo di dare uniformità, magari anche sovvertendo il parere delle Regioni se ci sono gli elementi tecnici per farlo. È assurdo che prima si pronunci lo Stato e poi le Regioni. Questo potrebbe anche sveltire gli iter, un po’ sul modello delle sovrintendenze. Ma la politica certo non lo accetterà perché è gelosa del potere politico sulla Via.
E quando la Via è transfrontaliera?
Con gli altri Paesi abbiamo ormai consolidato le modalità di consultazione. Il problema, però – come nel caso della Slovenia – è che dove c’è una contrarietà a priori l’opera diventa defatigante. Prima di tutto per problemi linguistici e poi perché arrivano quantità enormi di osservazioni “ostruzionistiche” che non consentono di arrivare a una soluzione rapida. Il lavoro è lungo e quando non c’è un accordo politico i tempi si dilatano. Per esempio il ministro Frattini ha detto che senza il consenso politico della Slovenia a Trieste non si fa niente, e non si possono guastare le relazioni politiche con un Paese per fare un rigassificatore. Prima di dare in mano queste cose al ministero dell’Ambiente i ministri degli Esteri dovrebbero fare un accordo più generale.
E’ possibile far ripartire le estrazioni in Alto Adriatico?
Il problema è delicato. Ho qualche difficoltà a pronunciarmi perché sono stato rinviato a giudizio per omissione di atti di ufficio relativamente a un periodo in cui non ero neanche direttore generale e dopo sette anni non riesco ancora a dire che io non c’ero…
Non è il primo caso a finire in tribunale, come per l’estrazione di petrolio in Sicilia.
Il problema è che queste cose sono indipendenti dal disturbo reale. Sui rigassificatori, anche con il concorso di una parte della stampa, è stato montato il problema della sicurezza al di là di ogni ragionevole perplessità. La politica va dietro all’opinione pubblica e se non riesce a intervenire e a decidere, interviene in maniera surrettizia la magistratura. Finora io non ho visto nessuno condannato. Ho visto solo processi o indagini avviate, lunghissime.
Infine, due questioni all’ordine del giorno: la Ccs e il nucleare.
Secondo me la carbon sequestration ha una parte positiva per quanto riguarda la CO2 ma negativa per quanto riguarda l’inquinamento, perché costa in termini di energia utilizzata e di emissione di ossidi di azoto e polveri sottili. Sappiamo che per la Ccs hanno spinto molto le società petrolifere, soprattutto tedesche, inglesi e francesi, perché è un bel business per loro: utilizzano una tecnologia che hanno già a disposizione, permessi che hanno, la possibilità di estrarre più olio e gas da giacimenti quasi esausti.
E sul nucleare, viste anche tutte le questioni relative agli iter di cui abbiamo parlato?
Io sono la persona meno indicata per trattare questo argomento, essendo ingegnere nucleare ed essendomi battuto a suo tempo contro l’ipotesi del referendum. Io sono favorevole al nucleare, ma non alle condizioni che si stanno delineando. Non è possibile immaginare di fare il nucleare con le forze armate. O c’è il consenso della popolazione o non si potrà mai fare. Lo dimostra la storia. Il problema è che l’Enel pensa di essere il monopolista del nucleare, e non è così. Tutte le aziende del settore energetico devono concorrere anche per ridurre i rischi finanziari. E soprattutto ci vuole un controllore indipendente. Non può farlo il ministero dello Sviluppo economico.
Ci vuole un’Agenzia…
Che però non può fare capo al Mse. Magari alla Presidenza del Consiglio, se non al ministero dell’Ambiente. Va poi risolto il problema del sito temporaneo di superficie e del sito profondo, in termini di criteri e tempi. Il sito profondo che era stato individuato aveva tutte le caratteristiche per essere il miglior sito. Il problema, ripeto, è che non si può fare senza il consenso della popolazione.
Non crede che la riforma del Titolo V abbia dato troppa voce in capitolo al livello locale?
Non è tanto una questione istituzionale, quanto politica. La storia insegna, tra l’altro, che le centrali nucleari si sono fatte solo nelle regioni con una giunta di sinistra. Il problema del nucleare è di interesse generale e la vecchia sinistra, quella non estremista, si era assunta le responsabilità perché aveva capito che il nucleare era a vantaggio di tutti, anche dal punto di vista industriale. (riproduzione riservata)

